L’ultimo scandalo FaceBook-Cambridge Analytica riporta ancora una volta all’attenzione la scarsa consapevolezza generale del parco-utenti delle piattaforme social.
Nessuno ha mai letto le condizioni di utilizzo proposte durante l’iscrizione, nessuno legge gli aggiornamenti che vengono periodicamente proposti, nessuno ha idea di chi sia la proprietà delle informazioni che vengono inserite, nessuno sa quali dati comportamentali vengano raccolti, nessuno sa per quali scopi potranno essere usate, nessuno sa … e pochi si interessano delle conseguenze.
Importa solo che il giochino funzioni; scova i vostri ex compagni di classe elementari, i vostri ex compagni di squadra, i vostri ex allievi, ex amici, ex fidanzate; ma anche past psichiatra, escort ecc…
Gli utenti pubblicano qualsiasi cosa gli passi in mente; fanno foto e video di maggiorenni e minorenni in ogni luogo, anche privato; identificano luoghi e frequentazione di persone; mettono “mi piace” e “non mi piace” ovunque, in un’orgia quotidiana di miliardi di byte personali.
Una ricerca svolta da accademici americani ha evidenziato come, senza avere nessuna informazione sul profilo di una persona, sia possibile ricostruirne tutte le caratteristiche (età, sesso, nazionalità, inclinazioni sessuali, livello di studio, professione …) solo analizzando i suoi post e la sua rete di contatti, con una accuratezza dell’87%.
Ma come è possibile collegare persone che usano numeri diversificati per lavoro e vita personale, proprio per motivi di privacy ? In molti modi, uno dei quali è la condivisione delle informazioni tra WhatsApp e FaceBook, introdotta lo scorso anno, ovviamente solo “per migliorare le esperienze con le inserzioni e i prodotti di Facebook”.
Ragazzi, ma se ve la danno gratis (la partecipazione al social network) non vi viene in mente la domanda: chi paga al posto di miliardi di utenti?
Qualcuno ha appositamente coniato il termine “somari digitali”; io ritengo più adatto il termine “ignoranti digitali”, nel senso di ignorare; spesso si tratta anche di colpevole distrattezza.
Le famiglie consegnano uno smartphone ai loro figli ad un’età sempre più bassa, senza nulla insegnare loro, onere che quindi si traferisce completamente a carico della scuola italiana.
Mi rivolgo quindi al prossimo Ministro della Pubblica Istruzione Italiana: Sig. Ministro, vogliamo pensare a colmare questa “irrilevante” lacuna dei nostri futuri cittadini digitali?
Anche iniziando con poco, un piccolo progetto co-finanziato dalla Comunità Europea, magari come alternativa allo Stretching in Classe?